Lo urlava Nanni Moretti in una memorabile scena di Palombella Rossa, film cult della fine degli anni ‘80. “Le parole sono importanti!”
E come dargli torto? Le parole sono armi, possono colpire e affondare, possono far sognare e deludere. Possono essere usate, ad esempio, per far innamorare. Di persone, di luoghi, di idee, perfino di cose. Se usate male possono avere il potere di devastare. Le cose, le idee, i luoghi, le persone. Lo sa bene chi si occupa di copywriting, l’attività, o come preferisco dire io, l’arte di scrivere testi. Il termine si usa per lo più in ambito pubblicitario e di marketing e si riferisce a tutti i testi che vengono prodotti con uno scopo di vendita.
Mi chiamo Rosetta e sono un’appassionata di parole. Dette, scritte, lette, pensate o mai pronunciate. Uso questo mezzo antichissimo in un’attività modernissima. Sono una digital marketing manager e se vi va, vorrei parlarvi dell’arte di raccontare.
Non è difficile intuire come la parola sia tra i mezzi più utilizzati, studiati e trasformati della storia. D’altra parte ciò che ci distingue dagli altri animali, in alcuni casi più dell’intelletto, è proprio la possibilità di proferire verbo.
Sempre molta importanza in tutti gli ambiti è stata data al linguaggio e alle sue varie forme. A partire dall’antichità con i perfetti declamatori e scrittori, fino ai giorni nostri, con gli sforzi dei moderni content creators sui social network.
Quando parliamo di Copywriting ci riferiamo ad un’attività specifica che ha le sue caratteristiche. Si tratta di requisiti che non si allontanano troppo da quelli teorizzati ad esempio dall’oratore per antonomasia. Colui che in un’epoca lontana dalla nostra aveva già chiare in mente le fasi della perfetta arte oratoria, Cicerone.
Inventio, dispositio ed elocutio, quelle che oggi chiameremmo creatività, costruzione ed esposizione.
Facendo un balzo nel tempo di qualche secolo incontriamo la figura che oggi viene identificata come il padre del moderno copywriting. Era la seconda metà del 1800 e John Emory Powers inizia la sua carriera come scrittore di testi per la pubblicità. Il suo stile chiaro, il linguaggio semplice e la capacità di andare dritto al punto vennero presto riconosciuti. In poco tempo il Powers style si fece strada gettando le basi per quella che sarebbe stata la tecnica della pubblicità creativa.
Se Cicerone poteva contare “solo” sulla sua personalità e le sue doti comunicative per coinvolgere il suo pubblico, oggi la situazione è decisamente diversa.
Nel mondo digitale quello che viene definito content non si riferisce solo al frutto di un lavoro di copywriting.
Foto, video e grafiche riempiono i nostri moderni canali di comunicazione. E vanno a dare forza e carattere ai messaggi che veicoliamo ogni giorno.
Si tratta il più delle volte di una combinazione di tutti gli strumenti di comunicazione e della loro capacità congiunta di colpire nel segno. Ognuno di questi elementi possiede un peso specifico. Ed è quando si raggiunge il perfetto equilibrio tra parole e arte visiva che avviene la vera magia.
Sulle regole che definiscono l’attività di copywriting in giro c’è molto. Qualcuno sostiene addirittura che è indispensabile seguire scrupolosamente norme specifiche, pena il fallimento.
Sebbene riconosca un minimo di best practice utili nel copywriting, personalmente sono di un’altra opinione.
Se c’è infatti una regola che mi piace tra tutte le regole del copywriting è sicuramente questa: nel copywriting non ci sono regole.
Non esistono parole giuste o parole sbagliate. Non esistono frasi da scrivere e frasi da evitare. E non esistono nemmeno testi che funzionano e testi che non funzionano.
Esistono situazioni, occasioni; esistono momenti adatti e pubblici adatti. Esistono anche flussi creativi che fanno rotolare le parole nella mente e le posizionano esattamente nell’ordine in cui devono andare.
Il copywriting è un atto di creatività e libertà, due concetti per me sacri che non ammettono catene.